11/07/2015

Cronaca

Cuorgnè, il patrimonio di Giovanni Iaria torna agli eredi

Cuorgnè

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Quasi dieci milioni di euro. A tanto ammonta la stima del patrimonio appartenuto al defunto e presunto boss Giovanni Iaria: automobili, conti correnti, appartamenti, autorimesse e la lussuosa villa di via Salgari a Cuorgnè. Un patrimonio che gli era stato confiscato su richiesta della procura di Torino, in seguito alla sentenza del tribunale emessa nell’ambito del processo “Minotauro”.

Adesso l’eredità ritorna alla famiglia che, a suo tempo, aveva presentato ricorso in appello, assistita dall’avvocato Carlo Maria Romeo. Ricorso che è stato accolto. Il presunto boss Giovanni Iaria non riuscì a presenziare al processo d’Appello. Morì nel febbraio del 2013 in ospedale, dopo essere stato condannato in primo grado a 7 anni e 4 mesi di carcere in uno dei tronconi del processo “Minotauro” con l’accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso. Iaria era stato, negli anni Settanta, assessore e consigliere comunale a Cuorgnè, oltre che vicepresidente provinciale dell’allora Psi.

A giudizio degli inquirenti, l’imputato avrebbe stretto solidi legami con la ‘ndrangheta e “conservava stabili e consolidati rapporti con i politici, attraverso i quali esercitava il controllo sui lavori del settore edilizio”. Sulla base del ricorso, la corte d’Appello di Torino ha revocato il decreto di confisca emesso dalla sezione misure di prevenzione del tribunale perché non sarebbero stati chiariti a sufficienza i contatti che il presunto boss avrebbe avuto con le cosche coinvolte nel procedimento penale.

“È innegabile che la mera appartenenza di Iaria all’ambiente politico locale non può assumere di per sé particolare rilevanza – recita la sentenza che revoca la confisca -. Nella motivazione ci si limita ad addebitargli genericamente la frequentazione di ambienti della criminalità organizzata calabrese sin dagli anni Settanta, nonché collegamenti occulti con imprese edili in Valle d’Aosta, senza però fornire precisa informazione in proposito”.

In poche parole, secondo i giudici, non è stato inequivocabilmente dimostrato che il patrimonio confiscato sia frutto della presunta attività mafiosa negli anni Settanta, ovvero nel periodo in cui gli immobili furono edificati. Da qui la restituzione del patrimonio ai legittimi eredi.

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