
Lavoro, la Cassazione: “Non è licenziabile chi aderisce all’accordo sul demansionamento”

Chi aderisce all’accordo sindacale sul demansionamento nell’ambito di una procedura di mobilità, non può essere licenziato: lo ha stabilito una sentenza della Sezione Lavoro della Corte di Cassazione che ha accolto il ricorso di un lavoratore, il quale da impiegato era passato a fare l’operaio e in seguito licenziato. I giudici delle Suprema Corte hanno sentenziato che l’azienda non ha il potere unilaterale di disattendere l’accordo sindacale che prevede la possibilità per il dipendente di svolgere una mansione inferiore a quella ricoperta in precedenza.
A ripotare la notizia, a firma di Paola Rossi è il quotidiano di economia e finanza “Il Sole 24 Ore” in un apposito inserto dedicato al diritto del Lavoro. In sostanza i giudici di merito, secondo quelli di legittimità “nell’attribuire il corretto significato giuridico all’accordo previsto dal comma 11 dell’articolo 4 della legge del 1991 sulla mobilità. L’azienda aveva, infatti, concluso con le rappresentanze sindacali un accordo che prevedeva il riassorbimento di lavoratori eccedenti tramite assegnazione a mansioni diverse da quelle svolte, anche inferiori.
L’accordo vincola il datore che non potrà ignorare la disponibilità al ricollocamento in posizioni “più basse” per professionalità e retribuzione. La vincolatività dell’eventuale accordo che apre al demansionamento, ma al mantenimento del posto di lavoro, è dimostrata anche dalla circostanza che la dequalificazione del dipendente in un nuovo ruolo aziendale non deve essere oggetto di specifica trattativa e consenso della parte più debole, il lavoratore”.
Nella fattispecie, quindi, conclude la giornalista “Le regole concordate sono sufficienti al demansionamento del dipendente che ovviamente può scegliere di dimettersi per l’assenza di gradimento della nuova posizione che gli va però offerta e soprattutto su sua richiesta non gli può essere negata col silenzio dell’imprenditore”.