10/02/2025

Cronaca

La Cassazione: accedere alle chat WhatsApp del partner è reato, anche se si possiede il Pin

Canavese

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La Cassazione: accedere alle chat WhatsApp del partner è reato, anche se si possiede il Pin

La Corte di Cassazione ha emesso una sentenza significativa in materia di privacy digitale, stabilendo che accedere alle conversazioni WhatsApp del proprio partner o dell’ex, anche se in possesso del codice di sblocco, configura un reato. La decisione, pronunciata il 27 gennaio, ha confermato la condanna di un uomo che aveva presentato in tribunale messaggi privati della sua ex moglie, ottenuti senza il consenso della stessa.

Una violazione della privacy punibile per legge

Secondo i magistrati, il possesso del codice di sblocco in passato non autorizza l’accesso futuro al dispositivo senza l’esplicita approvazione dell’utente. Il giudice ha evidenziato che il cellulare, protetto da PIN o password, è un sistema informatico tutelato dalla legge, e accedervi senza permesso equivale a una grave violazione della privacy. Nel caso in esame, l’imputato aveva cercato di giustificare il suo comportamento sostenendo che l’accesso alle chat era motivato da ragioni legate alla salute del figlio e che il telefono era stato lasciato incustodito con la schermata delle chat aperta. Tuttavia, i giudici hanno respinto tale argomentazione, confermando che la protezione dei dati personali va intesa anche nel contesto della corrispondenza digitale.

Le implicazioni della sentenza

Le conversazioni WhatsApp, considerabili corrispondenza privata, sono protette dalla normativa sulla privacy. L’appropriazione indebita di tali dati, soprattutto se utilizzati in ambito giudiziario come in questo caso, configura il reato di violazione di corrispondenza. I giudici hanno ribadito che ogni accesso non autorizzato a sistemi informatici deve essere sanzionato, al fine di tutelare la sfera privata degli individui.

Inoltre, la sentenza sottolinea che, qualora vi sia necessità di accedere a dati privati per motivi giudiziari, il tribunale è l’organo competente a disporre l’acquisizione ufficiale del materiale, garantendo così il rispetto delle procedure legali e della privacy dei cittadini.

Un precedente per la tutela della privacy digitale

Questa decisione si inserisce in un contesto giuridico in cui la Corte di Cassazione ha più volte ribadito l’importanza della protezione dei dati personali. In passato, la Suprema Corte ha infatti stabilito che sottrarre il telefono al partner contro la sua volontà può configurare reato di rapina, dimostrando la rilevanza di una tutela rigorosa della sfera privata anche nell’era digitale.

La sentenza del 27 gennaio si configura dunque come un chiaro monito: l’accesso non autorizzato a informazioni personali, anche quando apparentemente “facilitato” dalla conoscenza del codice di sblocco, è inaccettabile e punibile, garantendo così un ulteriore baluardo contro le violazioni della privacy in un mondo sempre più connesso.

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