Caselle: denunciò la ‘ndrangheta e adesso la sua vita e quella della famiglia è diventata un inferno

09/05/2016

Nove ore. Un giorno lungo una vita. Nove ore trascorse, nell’aula numero 3 del tribunale di Torino il 4 maggio scorso, davanti ai giudici del processo San Michele a testimoniare sulle presunte infiltrazioni della ‘ndrangheta a Torino e in Valle di Susa. Mauro Esposito ha 54 anni. Di professione è architetto, titolare della Me Studio Srl, una società di progettazione che ha sede a Caselle. E da anni, cioè da quando ha denunciato l’estorsione della quale era oggetto, la sua vita e quella della sua famiglia è diventata un inferno. Dopo una lunga depressione, la malattia della moglie colpita da un tumore, i figli che non sono ancora riusciti a “metabolizzare” il coraggio che deriva dall’onestà e dalla disperazione, Mauro Esposito è tornato in aula, assistito dall’avvocato Valentina Sandroni. Il professionista si è costituito parte civile nel processo San Michele denunciando una drammatica vicenda storia in cui “l’estorsione con l’aggravante mafiosa” la fa da padrona. “Da quando ho denunciato ‘ndrangheta e malaffare, la mia vita e quella della mia famiglia è distrutta – ha spiegato l’imprenditore, uno dei pochi che si è ribellato ai metodi coercitivi del crimine organizzato -. Il più piccolo dei miei figli, ancora in cura da uno psicologo, continua a chiedermi: papà, perché hai denunciato la ‘ndrangheta?”.

All’origine dei suoi guai, stando a quanto ha raccontato il professionista c’è un uomo: Nicola Mirante, 49 anni, residente a Torino, arrestato nel mese di luglio 2014, nel corso di un blitz compiuto dal Ros dei carabinieri e che si trova ancora in cella in attesa di giudizio. Mirante sarebbe un presunto affiliato alla ndrina” dei crotonesi e sulla sua testa pende l’accusa di associazione mafiosa.

Quelle varianti “sospette”

Per la ricostruzione dei fatti esposti da Mauro Esposito bisogna fare un passo indietro e focalizzare l’attenzione su un cantiere edile: quello di corso Susa a Rivoli dove erano in costruzione le Residenze San Carlo: 85 appartamenti di varia metratura realizzati dalla società Edilrivoli. Lavori che furono subappaltati ad un’altra società, la Gruppo Res della quale Mirante (difeso dall’avvocato Alberto Ventrini), era amministrazione unico. “Avevamo un progetto, ma non la possibilità economica per realizzarlo – ha dichiarato in aula l’imprenditore -. Alberto Goffi (avvocato ed ex consigliere regionale dell’Udc, ndr) mi disse che un certo Fabrizio Tosatto era interessato a rilevare il pacchetto”.

Un pacchetto che, all’epoca valeva ben otto milioni di euro. Esposito ha ricostruito in aula tutti i passaggi dell’affare: “Tre di questi furono depositati in una filiale svizzera della banca immobiliare Bim”. Fabrizio Tosatto è attualmente indagato. A giudizio dell’accusa insieme ad altri complici, anch’essi sotto indagine, avrebbe fatto in modo che i costi dell’operazione immobiliare lievitassero da 9 a 15 milioni di euro ricorrendo a varianti in corso d’opera che, secondo la pubblica accusa, sarebbero difficilmente giustificabili. A quelle varianti Mauro Esposito si era opposto; una decisione che gli era costata la direzione dei lavori. “Mirante mi diceva: vattene, non sai chi c’è dietro di me. Fai attenzione” ha raccontato il professionista ai giudici. L’ex consigliere regionale Alberto Goffi (non indagato dalla procura) non nega che di aver presentato Tosatto a Esposito. Il legale di Nicola Mirante, nel corso di un serrato contro-interrogatorio, ha cercato di dimostrare che i toni minacciosi usati dal suo cliente, non erano certo quelli di un mafioso.

Le società di architettura e di ingegneria non potevano lavorare per i privati

In questa vicenda s’innesca l’effetto di sue sentenze civili che rischiano di far perdere all’imprenditore tutto il suo patrimonio. I giudici di primo grado e quelli della Corte d’Appello di Torino, hanno confermato l’applicazione di una legge risalente all’epoca fascista che vieta alle società di capitali di ingegneria e architettura di lavorare per soggetti privati. A rischio c’è, oltre a quella della ME progettazioni, la sopravvivenza di seimila studi e il posto di lavoro di oltre trecentomila professionisti. Ergo: tutti i contratti stipulati prima del 2006 sono da considerarsi nulli e i professionisti sono obbligati a restituire i compensi percepiti per il lavoro svolto. In poche parole, in base alla sentenza del collegio giudicante, nel caso specifico, Mauro Esposito dovrebbe restituire circa 600 mila euro.

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