
13/03/2025
Sanità
L’infermiera di famiglia Maria Luisa e Giovanni: cura, ascolto e vicinanza nella Sanità territoriale
Lanzo
/L’infermiera di famiglia Maria Luisa e di Giovanni: cura, ascolto e vicinanza nella Sanità territoriale
Il 21 maggio 2024 è una data che, per molti, potrebbe sembrare come una qualsiasi altra. Ma per Giovanni, 78 anni, segna l’inizio di un percorso che ha trasformato radicalmente la sua vita. Uomo che ha sempre vissuto con una lunga storia di problemi di salute e con una certa rassegnazione verso la sua condizione, Giovanni ha imparato a convivere con la fragilità del suo corpo. Ma questa volta, qualcosa è cambiato. Una nuova difficoltà, che non poteva essere ignorata, lo ha messo di fronte a una decisione difficile.
L’incontro con Maria Luisa Bassignana
L’elemento che ha cambiato il destino di Giovanni è stato l’incontro con Maria Luisa Bassignana, un’Infermiera di Famiglia e di Comunità che lo ha preso in carico nel quadro del progetto Strategia Aree Interne per le Valli di Lanzo, promosso dall’Asl T04. Un progetto che punta a garantire una sanità più vicina alle persone, soprattutto nelle aree più remote, dove l’accesso ai servizi sanitari può diventare un’impresa ardua. Giovanni vive nelle Valli di Lanzo, un territorio di rara bellezza ma anche caratterizzato da grandi difficoltà logistiche per quanto riguarda la sanità, con distanze che si misurano più in ore di viaggio che in chilometri.
Maria Luisa, però, non è un’infermiera come le altre. Non si limita a visitare Giovanni per monitorare i parametri clinici, ma si prende cura di lui in modo totale, comprendendo che dietro ogni paziente c’è una persona con un vissuto, con paure e speranze. La sua assistenza è un processo che va oltre il gesto tecnico e si basa su un rapporto di fiducia reciproca.
La lesione cutanea e la resistenza di Giovanni
Nel corso di un incontro, Maria Luisa nota una lesione cutanea sospetta sulla pelle di Giovanni, che le appare come un segnale di allarme. Ma Giovanni, stanco di troppi esami e visite, è irremovibile: “No, grazie, preferisco lasciar perdere.” La sua risposta è comprensibile, derivante dalla stanchezza accumulata nel corso degli anni di trattamenti medici. La resistenza a nuove visite nasce dalla frustrazione di chi ha già affrontato troppe esperienze dolorose.
Maria Luisa, tuttavia, non si arrende. Non è la pressione della medicina a spingerlo, ma un approccio più umano. “Capisco la sua stanchezza, signor Giovanni, ma questa visita potrebbe fare la differenza,” gli dice con delicatezza. Non c’è nulla di invadente, ma solo un invito, paziente e comprensivo, ad affrontare il problema. Giovanni, alla fine, accetta di sottoporsi a una visita dermatologica, e la diagnosi conferma la necessità di un intervento chirurgico per rimuovere la lesione.
Un colpo al cuore e la paura dell’intervento
Ma la strada di Giovanni non finisce qui. Dopo l’intervento iniziale, arriva la seconda diagnosi: è necessario un ulteriore intervento per ampliare i margini e prevenire il rischio di recidive. Il verdetto suona come un colpo al cuore per Giovanni: “Basta, non voglio più farlo”. La sua paura e la sua stanchezza sembrano insormontabili. La paura di dover affrontare un’altra sala operatoria, l’incertezza del risultato, la solitudine di un percorso che si fa sempre più pesante.
La forza del dialogo e la presenza umana
In questo momento di vulnerabilità, Maria Luisa non lo costringe a nulla, non lo minaccia né lo rimprovera. Quello che fa è ascoltarlo e rassicurarlo. “Non è solo un intervento, signor Giovanni. È la sua vita che merita di essere protetta”, gli dice, cercando di far leva sulla sua volontà di vivere, di non arrendersi.
Il rapporto tra Maria Luisa e Giovanni si trasforma: non sono più solo un’infermiera e un paziente, ma due persone che si sostengono a vicenda in un cammino difficile. Giovanni accetta così un colloquio con i chirurghi, ma con una condizione: Maria Luisa deve essere con lui. E così avviene. La sua presenza lo rassicura, gli dà la forza di affrontare una situazione che da solo gli sarebbe sembrata insostenibile.
L’intervento avviene con successo, e Giovanni si riprende bene, seguendo scrupolosamente i controlli post-operatori. Ma, soprattutto, il legame con Maria Luisa non si interrompe: lei continua a monitorare la sua salute e a far sentire Giovanni supportato e seguito, senza mai farlo sentire solo.
La sanità territoriale che fa la differenza
La storia di Giovanni non è solo una vicenda personale, ma rappresenta l’importanza di un sistema sanitario che vada oltre il semplice atto medico, che non si limiti a curare ma a prendersi cura. Il progetto Strategia Aree Interne per le Valli di Lanzo ha dimostrato che l’assistenza sanitaria nelle aree più isolate può essere efficace non solo attraverso prestazioni sanitarie, ma anche tramite una relazione costante, fatta di ascolto e supporto emotivo.
Nel 2024, solo nelle Valli di Lanzo sono state effettuate 636 prestazioni tra monitoraggi, visite e consulenze. Un dato che racconta non solo numeri, ma vite toccate, solitudini alleviate e paure trasformate in speranza.
La voce dell’Asl e della politica
Clara Occhiena, Responsabile della Direzione delle Professioni Sanitarie dell’ASL TO4, sottolinea come l’infermiere di famiglia non sia solo un operatore sanitario, ma un punto di riferimento per la comunità, un volto amico che costruisce un ponte tra la medicina e la vita quotidiana delle persone. Il suo obiettivo è essere presente prima che il problema diventi emergenza, accompagnando le persone, ascoltando le loro storie e prevenendo le crisi.
Anche Federico Riboldi, assessore alla Sanità del Piemonte, ribadisce l’importanza di un modello sanitario che sia vicino alle persone, capace di costruire relazioni genuine. La storia di Giovanni, conclude Riboldi, dimostra che la strada intrapresa dalla Regione è quella giusta.
Il salvataggio di Giovanni
Oggi Giovanni sta meglio. Ma il suo percorso non è solo raccontato dalla cicatrice fisica, ma dalla consapevolezza di aver avuto accanto qualcuno che non lo ha mai lasciato solo. L’infermiere di famiglia, Maria Luisa, ha svolto il ruolo di un custode della sua umanità, accompagnandolo non solo nel trattamento, ma nella sua paura, nel suo sentirsi fragile, nel suo non voler affrontare altro dolore.
A volte, la medicina più potente non è quella che guarisce il corpo, ma quella che si prende cura della persona, con il cuore e con il dialogo. Giovanni ha imparato che non è mai solo, anche nei momenti più difficili. E questo ha fatto la differenza.
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