Canavese: il caro energia minaccia la produzione, ma il Polo dello stampaggio “tiene botta”

07/10/2022

È uno dei pochissimi comparti produttivi in Italia che, seppure tra mille difficoltà, resiste ai rincari causati dal caro energia: è il settore dello stampaggio a caldo che ha la sua capitale nel cuore dell’Alto Canavese, tra Busano, Favria, Valperga, Rivara, Cuorgnè, Forno Canavese, Agliè e parte del Ciriacese. I dati relativi alla produzione sono confortanti ma quelli relativi ai ricavi lo sono meno. Eppure, il polo dello stampaggio a caldo “sforna” una media di 350 mila tonnellate di acciaio all’anno. Impennate del costo dell’energia, come quelli registrati negli ultimi mesi non si erano mai visti. E, d’altro canto, le produzioni sono energivore: consumano cioè grandi quantità di energia con costi molto rilevanti. Dino Ruffatto, direttore dell’Unisa (Unione Italiana degli stampatori di acciaio) sottolinea come tra il 2021 e il 2022 le aziende hanno dovuto fare forzatamente i conti con una brusca impennata dei prezzi.

Un dato di fatto che ha radicalmente cambiato i rapporti commerciali con i fornitori e con i clienti. Una brutta faccenda che riguarda non soltanto gli imprenditori, coloro cioè che investono in attività produttive, ma anche, come nel caso del Polo di stampaggio canavesano oltre 5mila dipendenti e una cinquantina di aziende. Eppure, il coraggio e la costante ricerca di soluzioni, ha finora fatto in modo che la filiera resistesse, seppure tra grandi difficoltà com’è facile immaginare.

Per ovviare a una crisi senza precedenti gl’imprenditori hanno dovuto cambiare strategia ed elaborare nuove regole e accordi commerciali come i contratti di fornitura trimestrali, per trovare un equilibrio tra il prezzo dei componenti prodotti e le offerte del mercato, spiega Dino Ruffatto. Un dato fra tutti che fotografa la situazione drammatica vissuta dalle aziende: allo stato attuale ogni prodotto che esce dalla fabbrica costa in media il 20 e il 30% in più rispetto al passato. Una situazione inedita e decisamente preoccupante per l’economia della zona e dell’intero comparto manifatturiero.

Eppure, gli industriali hanno evitato, smentendo ogni previsione, il ricorso alla cassa integrazione per contenere i costi, anche se tutti si muovono con estrema prudenza e con i “piedi di piombo”. 

Fabrizio Rosboch, imprenditore alla guida della Omp di Busano rimarca che il rischio più grande è che la l’industria legata alle lavorazioni dell’acciaio “vada fuori dalla competizione internazionale, ha dichiarato al quotidiano economico “Il Sole 24 ore”. L’Europa ha una soluzione per il manifatturiero o no? Si chiede e sottolinea che l’azienda che guida si trova a pagare una bolletta da 200mila euro a bimestre a 500mila euro a bimestre. “Serve un intervento a tutela dell’industria – afferma-. L’Italia non ha una politica energetica e industriale da oltre 20 anni”.

Un problema di non poco conto che riguarda le aziende esportatrici che quelle che hanno una sede all’estero come la Omp.

“Questo ci aiuta perché in alcune aree non sono presenti crisi come quella che stiamo vivendo in Europa – afferma Fabrizio Rosboch -.  Siamo alle porte di una recessione e questa contingenza finirà per condizionare profondamente i piani di investimento delle imprese”. In sostanza, a giudizio dell’imprenditore chi è riuscito a mantenere i contratti indicizzati per le forniture elettriche è riuscito a proseguire la propria attività produttiva ma chi non l’ha fatto “rischia la bancarotta perché le aziende si trovano fuori mercato”.

 

 

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