
Va a pesca in area protetta e cattura venti trote: pensionato a processo per bracconaggio nel Parco del Gran Paradiso

Va a pesca in area protetta e cattura venti trote: pensionato a processo per bracconaggio nel Parco del Gran Paradiso
Ha ignorato divieti, cartelli e regole, calando la lenza in uno dei tratti più sorvegliati e tutelati del Parco nazionale del Gran Paradiso. Una battuta di pesca che ora gli costa un’imputazione per bracconaggio ittico. Protagonista, un pensionato 75enne che nell’agosto del 2021 è stato colto sul fatto dagli agenti del servizio di sorveglianza dell’Ente parco lungo il torrente Campiglia, in un’area in cui la pesca è vietata in modo assoluto.
Alla vista dei sorveglianti, l’uomo ha provato a difendersi sostenendo di non sapere di trovarsi in zona protetta. Una spiegazione giudicata poco credibile, anche perché quel tratto è abbondantemente segnalato da cartelli e pannelli informativi. Inoltre, gli accertamenti hanno confermato che il pensionato era un frequentatore abituale del luogo, circostanza che rende difficile pensare a un’ingenuità.
Ora dovrà comparire davanti al tribunale di Ivrea, imputato per violazione dell’articolo 11 della legge quadro sulle aree protette (n. 394/1991), che punisce la cattura non autorizzata di fauna selvatica nei parchi naturali. A sostenere l’accusa è il Ministero dell’Ambiente, parte offesa nel procedimento.
Ma non è solo una questione legale. Il caso riporta l’attenzione sulla necessità di tutelare gli ecosistemi fragili, come quelli che il Parco del Gran Paradiso — il più antico d’Italia — custodisce da oltre un secolo. Le trote pescate in quell’occasione, ben venti, sono ben oltre il limite massimo consentito perfino nei tratti in cui la pesca è permessa (che è di sette capi). Non si è trattato, dunque, di un’uscita estemporanea, ma di una violazione sostanziale e consapevole. Una vera e propria “mattanza”, come la definiscono gli agenti, che va ben oltre la semplice infrazione.
Il legale dell’uomo, ha chiesto per il suo assistito l’accesso alla “messa alla prova”: un percorso previsto per reati di modesta entità che consente, attraverso attività socialmente utili o riparatorie, di evitare la condanna. Ma il danno ambientale resta, così come il messaggio che l’Ente parco intende ribadire: nessuno è sopra le regole. Nemmeno chi pesca con l’aria da “nonno innocuo”.