
Scorie nucleari a Saluggia: il Canavese sotto la spada di Damocle dei rifiuti radioattivi. La denuncia dei 5 Stelle
Il dibattito sul futuro Deposito nazionale di scorie nucleari torna a infiammare il Piemonte, e in particolare il Canavese, già da decenni al centro delle preoccupazioni per la presenza di rifiuti radioattivi lungo la Dora Baltea. Il Movimento 5 Stelle ha chiesto un’audizione in Commissione Ambiente con Sogin, la società pubblica incaricata del decommissioning, per chiarire i passaggi di un progetto colossale, dai tempi lunghi e dalle ricadute delicate sul piano ambientale e sociale.
L’impianto nazionale dovrebbe accogliere oltre 78 mila metri cubi di rifiuti radioattivi accumulati in più di cinquant’anni, oggi distribuiti in oltre venti depositi temporanei, molti dei quali si trovano proprio in Piemonte. Secondo i piani, il cantiere potrebbe partire nel 2029, ma la conclusione è ipotizzata solo attorno al 2039. Nel frattempo, i rischi ricadono sui territori che già ospitano materiali pericolosi.
Il nodo Saluggia
Il simbolo delle contraddizioni italiane sul nucleare resta Saluggia, a pochi chilometri dal cuore del Canavese. Qui si trova il sito Eurex, che custodisce scorie ad altissima radioattività in vasche collocate a ridosso della Dora Baltea e a monte dell’Acquedotto del Monferrato, da cui dipendono centinaia di migliaia di piemontesi. Un’area fragile sul piano idrogeologico, in passato colpita da alluvioni, che da anni alimenta la paura di incidenti con conseguenze devastanti.
A Saluggia avrebbe dovuto entrare in funzione già nel 2013 il complesso CEMEX, progettato per solidificare circa 300 metri cubi di rifiuti liquidi. Dopo continui stop e gare d’appalto annullate, l’opera non è mai stata completata. Oggi si parla di una nuova procedura da 172,5 milioni di euro e di un obiettivo di fine lavori entro il 2029, ma intanto i rifiuti rimangono dove sono, in condizioni che cittadini e comitati definiscono “una spada di Damocle” sospesa sul territorio.
Il rischio Canavese
Non solo Saluggia. Anche il sito di Trino Vercellese, con la storica centrale nucleare “Enrico Fermi”, continua a rappresentare un punto sensibile. Il timore dei pendolari del Canavese e delle comunità locali è legato non solo alla vicinanza geografica dei depositi, ma anche alla prospettiva che lungo le strade e le ferrovie della zona possano transitare in futuro convogli di scorie radioattive diretti verso il nuovo deposito nazionale.
Le posizioni politiche
I consiglieri regionali M5S Sarah Disabato, Pasquale Coluccio e Alberto Unia sottolineano che il deposito unico è necessario per superare la frammentazione attuale, ma ribadiscono che il Piemonte non può farsi carico di questa scelta. La loro richiesta alla Regione e a Sogin è chiara: trasparenza, tempi certi e partecipazione reale delle comunità.
Un tema che divide anche le forze politiche locali: da un lato il governo difende l’idea di un grande deposito nazionale, anche per ridurre i costi esorbitanti dei tanti siti temporanei; dall’altro, cresce la convinzione che la strada centralizzata sia difficilmente sostenibile senza il consenso dei territori.
Una partita ancora aperta
Intanto le scorie restano nei depositi del Canavese e del Piemonte, tra promesse non mantenute e rinvii infiniti. Mentre Sogin rilancia l’idea di un Parco Tecnologico accanto al futuro deposito, con ricadute occupazionali e scientifiche, i cittadini guardano con diffidenza e continuano a mobilitarsi.
Il timore è che il Piemonte, e con esso il Canavese, restino ancora una volta la “pattumiera nucleare d’Italia”. Una prospettiva che alimenta rabbia e incertezza, in un territorio che da decenni convive con rifiuti radioattivi e con il sospetto di decisioni calate dall’alto.