
Chivasso, dramma della solitudine e dell’isolamento: anziana segregata in casa per 12 anni

Chivasso, dramma della solitudine e dell’isolamento: anziana segregata in casa per 12 anni
In una frazione della città di Chivasso, una tragedia di isolamento e abbandono è emersa quasi per caso, rivelando una realtà difficile da immaginare e ancora più difficile da accettare. Una donna ultraottantenne, è stata trovata in condizioni strazianti: capelli lunghi fino ai piedi, unghie cresciute come artigli e un corpo provato da anni di incuria.
La sua casa, che avrebbe dovuto essere un rifugio, si è rivelata una prigione di degrado, con terra sul pavimento, rifiuti accumulati e odori insostenibili e dove ha vissuto segregata per 12 anni. Accanto a lei, il figlio 49enne affetto da autismo, anch’egli vittima di una vita senza sostegno, schiacciato da una depressione che lo aveva reso incapace di reagire.
La scoperta casuale
A far emergere questa vicenda è stata la preoccupazione del datore di lavoro del figlio della donna. L’uomo, un operaio, non si presentava sul posto di lavoro da settimane, senza dare spiegazioni. La segnalazione ha spinto i carabinieri a intervenire, portandoli a scoprire una situazione che racconta non solo di disagio individuale, ma anche di un fallimento collettivo.
La donna era sdraiata su un divano, circondata da un ambiente che parlava di anni di abbandono e solitudine, mentre il figlio giaceva nel letto, intrappolato in una condizione di malessere psicologico. Entrambi sono stati soccorsi dal personale del 118 e portati in ospedale, dove hanno ricevuto le prime cure.
Un sollievo temporaneo
Dopo una sola notte in ospedale, Sara è stata dimessa e riportata nella stessa casa che l’aveva vista spegnersi lentamente per anni. Lei e il figlio sono ora affidati alle cure del Ciss di Chivasso, ma le domande rimangono: come è stato possibile che nessuno si accorgesse di questa situazione? Perché non sono stati colti segnali che avrebbero potuto evitare anni di sofferenza?
Il riflesso di un problema più grande
Questa vicenda è il simbolo di una piaga sociale sempre più diffusa: l’isolamento. Sara e suo figlio non sono solo vittime di una tragedia familiare, ma di un sistema incapace di intercettare il disagio e di una comunità che non ha saputo tendere loro una mano.
Quante altre persone vivono nel silenzio, invisibili agli occhi di una società che troppo spesso sceglie di voltarsi dall’altra parte? Il degrado che circondava Sara non è solo materiale, ma morale. È il riflesso di un’indifferenza diffusa che lascia indietro i più fragili.
Un appello per il cambiamento
Questa storia deve indignare, ma soprattutto deve spingere a un cambiamento. È fondamentale potenziare i sistemi di assistenza sociale, coinvolgere attivamente la comunità e sensibilizzare le istituzioni per riconoscere e intervenire sui segnali di disagio prima che sia troppo tardi.