
Chiesa piemontese in lutto: addio a Cesare Nosiglia, si è spento a 80 anni l’ex arcivescovo di Torino
La Chiesa torinese e italiana piange monsignor Cesare Nosiglia, arcivescovo emerito di Torino, morto nella notte tra il 26 e il 27 agosto 2025 all’Hospice Cottolengo di Chieri, dove era ricoverato da alcune settimane a causa di una grave malattia respiratoria. Aveva 80 anni. La notizia della sua scomparsa, pur attesa per il progressivo aggravarsi delle sue condizioni, arriva come un colpo improvviso per una comunità che per oltre un decennio lo ha conosciuto come pastore attento, diretto e profondamente legato alle vicende della città.
Il funerale solenne è stato fissato per venerdì 29 agosto alle ore 15.30 nel Duomo di Torino, la stessa cattedrale che lo ha visto guidare la diocesi dal 2010 al 2022. Lì, tra fedeli e cittadini, Nosiglia aveva celebrato i momenti più significativi della vita ecclesiale e civile, dal lavoro accanto ai poveri alle grandi ostensioni della Sindone.
Nato a Rossiglione, in Liguria, nel 1944, ordinato sacerdote nel 1968, Nosiglia intraprese un percorso che lo portò presto a ruoli di rilievo: segretario generale aggiunto della Cei, presidente della Commissione per l’educazione cattolica, poi vescovo ausiliare di Roma e, dal 2003, vescovo di Vicenza. Nel 2010 papa Benedetto XVI lo nominò arcivescovo metropolita di Torino, affidandogli una delle diocesi più simboliche e complesse del Paese, anche per la custodia della Sindone.
Durante il suo ministero a Torino affrontò anni difficili, segnati dalla crisi economica, dalla trasformazione sociale e infine dalla pandemia. Non mancò mai di richiamare la Chiesa a “stare per strada”, a farsi prossima ai più deboli. Nel 2015 guidò l’ostensione della Sindone, che richiamò milioni di pellegrini da tutto il mondo. Nel 2019, già provato dall’età e dalla fatica, accettò anche la guida della diocesi di Susa come amministratore apostolico, mostrando ancora una volta il suo spirito di servizio.
Di lui si ricordano il carattere forte, talvolta brusco, e al tempo stesso una costante attenzione ai giovani, ai poveri, agli immigrati. Non amava i riflettori, ma non esitava a farsi ascoltare: quando parlava di dignità umana, di accoglienza e di legalità, le sue parole avevano il peso della franchezza.
Negli ultimi anni, lasciata la diocesi per raggiunti limiti d’età, si era ritirato a vita più riservata, pur continuando a seguire da vicino la vita della comunità torinese. “La Chiesa non deve avere paura di sporcarsi le mani”, ripeteva spesso. Un messaggio che resterà inciso come la sintesi del suo ministero.
Oggi Torino, Vicenza, Susa e le tante comunità che ha attraversato lo piangono. Restano il suo esempio di fede concreta, la sua coerenza e la memoria di un uomo che ha fatto della sua vita un servizio totale.