Blitz nell’azienda agricola Mellano di Rivarolo: oltre 500 mucche sequestrate. Interviene la Lav
È destinata a far discutere l’inchiesta aperta dalla Procura di Ivrea che ha portato, martedì scorso, al sequestro di oltre 500 capi di bestiame nell’azienda agricola Mellano di borgata Vittoria, a Rivarolo Canavese, al confine con Bosconero. L’operazione, condotta dai carabinieri in collaborazione con i veterinari dell’Asl, è scattata a seguito di segnalazioni su presunti maltrattamenti, gravi violazioni delle norme igienico-sanitarie e gestione illecita delle carcasse.
Ora anche la Lav, Lega Anti Vivisezione, è ufficialmente scesa in campo per seguire da vicino l’evolversi della vicenda, sottolineando la necessità di accertamenti a più ampio raggio. “L’inchiesta potrebbe coinvolgere anche altri aspetti – spiegano – come la sicurezza alimentare per prodotti eventualmente finiti nella filiera. Da non sottovalutare l’eventuale uso di fondi pubblici e contributi comunitari o nazionali”.
L’azienda Mellano, che si presentava come un modello di agricoltura biodinamica, era considerata tra le più avanzate in Europa nel settore e il suo titolare, Dino Mellano, è stato presidente pro tempore di Demeter Italia dal 2021 al 2022, organismo certificatore della qualità dei prodotti biodinamici. Il contrasto tra l’immagine dell’eccellenza e le ipotesi d’accusa sollevate dagli inquirenti ha suscitato sgomento e indignazione, alimentando il dibattito sulle condizioni degli allevamenti intensivi.
“Questo sequestro porta alla luce le problematiche strutturali dell’attuale sistema di produzione del latte – afferma Enrico Moriconi, medico veterinario ed ex Garante per i diritti degli animali della Regione Piemonte –. La spinta alla crescita dimensionale degli allevamenti porta a concentrare grandi numeri di animali in spazi inadeguati, dove le loro esigenze vengono spesso trascurate. Quando queste realtà vanno in crisi economica, sono gli animali a pagarne le conseguenze”.
Prosegue Moriconi: “La zootecnia intensiva è, di per sé, una fonte di stress per gli animali, costretti a condizioni di vita critiche anche in condizioni ordinarie. Quando sopraggiungono problemi gestionali, le conseguenze diventano intollerabili. Vicende come quella di Rivarolo mostrano l’urgenza di rafforzare la sanità veterinaria pubblica e non abbassare la guardia delegando i controlli unicamente ai veterinari aziendali, come sta avvenendo sempre più spesso”.
La Lav, dal canto suo, assicura che non abbasserà l’attenzione sul caso e invita le istituzioni a rivedere l’intero sistema di allevamento, anche alla luce delle incongruenze emerse. “Non esiste un modo virtuoso di sfruttare gli animali – ribadisce l’associazione –. Anche in un’azienda considerata modello, come quella di Rivarolo, sono emerse presunte situazioni gravi e inaccettabili. Questo dimostra quanto sia urgente un cambiamento di paradigma, a partire da regole più stringenti e controlli più efficaci”.
L’indagine è ancora in corso e gli inquirenti mantengono il massimo riserbo sugli sviluppi. Ma quanto accaduto ha già riacceso i riflettori sul mondo degli allevamenti e sul reale rispetto del benessere animale, anche in contesti che, almeno in apparenza, sembravano esemplari.