“Il carcere di Ivrea è precario”. Esponenti radicali e regionali visitano la Casa Circondariale

01/02/2019

L’atmosfera all’interno del carcere di Ivrea è migliorata, ma la struttura presenta evidenti precarietà che non possono e non devono essere trascurate. Nella mattinata di venerdì 1° febbraio Patrizia De Grazia e Giovanni Oteri, militanti radicali dell’Associazione radicale Adelaide Aglietta di Torino, accompagnati dal Consigliere Regionale Luca Cassiani e dalla Garante dei Detenuti Paola Perinetto, hanno fatto visita alla Casa Circondariale di Ivrea.  In questo contesto Patrizia De Grazia e Giovanni Oteri hanno dichiarato: “Siamo rimasti piacevolmente colpiti dal clima di umanità che abbiamo potuto respirare all’interno del carcere di Ivrea. Quasi la totalità dei detenuti è libera di uscire dalle proprie celle a partire dalle nove del mattino fino alle 18, con le sole eccezioni dei pasti, serviti tramite carrello del vitto di camera in camera. Abbiamo potuto constatare che molti dei detenuti sono impegnati durante la giornata in diverse attività formative, ricreative e lavorative. Alcuni si occupano della cucina, altri del bar della struttura, tutti hanno la possibilità di accedere alle biblioteche interne, alla palestra (negli orari prestabiliti), alle sale di socialità e ai diversi laboratori”.

“Nonostante l’impegno di Personale della Polizia Penitenziaria, Garante, Educatori e l’elevato numero di volontari, tuttavia, l’Istituto Penitenziario di Ivrea presenta molteplici gravi problematicità strutturali – si precisa -. L’edificio è stato costruito negli anni Ottanta, il campo sportivo, che i detenuti vorrebbero (legittimamente) poter utilizzare durante tutto il corso dell’anno, è agibile soltanto nei mesi estivi ed è più simile a un campo di patate che non a un vero campo sportivo, inoltre riteniamo molto grave che l’impianto antincendio sia ancora totalmente fuori uso nonostante le svariate segnalazioni e che gli allarmi anti intrusione siano parzialmente o completamente non funzionanti ed ormai irreparabili”.

Uno dei tanti problemi riscontrati? A giudizio della delegazione si tratta di un carcere altamente sovraffollato, dove la capienza massima sarebbe di 192 posti, a fronte degli oltre 270 detenuti presenti all’interno della struttura. Ricordiamo a tale proposito, che la Casa Circondariale di Ivrea è spesso oggetto di sfollamenti provenienti da carceri vicine (l’Istituto Lorusso-Cotugno di Torino in particolare), a causa del diffuso e gravissimo problema del sovraffollamento carcerario che affligge il nostro Paese da sempre e che la volontà politica delle classi dirigenti presenti e passate non è mai stata abbastanza seria da affrontare di petto.

Spiegano gli esponenti radicali e regionali: “Riscontriamo inoltre un paradosso nella presenza, all’interno di un carcere maschile, di un’ala apposita dedicata a detenuti transessuali che quotidianamente affrontano il processo (già piuttosto difficile, lungo e faticoso fuori dal carcere), di transizione per cambiare sesso”. A nostro avviso queste persone, donne a tutti gli effetti, si vedono fortemente discriminate dalla impossibilità di stare a contatto con gli altri detenuti di una struttura carceraria impossibilitata (in quanto istituto maschile) a rispondere pienamente alle loro esigenze. Segnaliamo tra le altre gravi problematiche che la Direttrice dovrà presto essere sostituita da persona ancora da individuarsi e il comandante del reparto delle guardie carcerarie rimarrà in carica per i prossimi tre mesi durante soli tre giorni alla settimana, non essendoci la possibilità di sapere chi sia l’effettivo comandante”.

E non è tutto: tra le criticità segnalate figura anche la possibilità di contrarre malattie tanto che in un nota stampa si sottolinea come “L’Asl competente segnala inoltre la possibilità che l’impianto dell’acqua risulti a rischio legionella. La carenza di personale di ogni ordine e grado (Circa 150 agenti per 270 detenuti e soli 4 educatori) rende difficile la gestione dell’istituto”.

“Segnaliamo infine la presenza all’interno della struttura di un 40% di detenuti tossicodipendenti, i quali dovrebbero effettuare percorsi riabilitativi al di fuori dell’ambiente carcerario – concludono Patrizia De Grazia, Giovanni Oteri, Luca Cassiani e Paola Parinetto -, si registra infine la presenza di svariati ‘internati’, ovvero ex detenuti, che già hanno scontato la propria pena e dovrebbero essere sottoposti a misure di sicurezza al di fuori del carcere, ma rimangono nei fatti all’interno della struttura per un tempo potenzialmente infinito”.

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